domenica 8 aprile 2012

Gabriella Baptist su L'intruso


(incipit)

"Bisogna che vi sia un che di intruso nello straniero che, altrimenti, perderebbe la sua estraneità" (p. 11; 11), il che non sembra né logicamente, né eticamente accettabile. 


Ma intruso è chi non è stato invitato, chi si è imposto con la forza o l’astuzia, l’‘imbucato’ verso cui si prova anche un senso di fastidio perché crea disordine nel segreto dell’intimità. Accogliere uno straniero che non si lasci semplicemente ‘naturalizzare’ significa provarne l’intrusione, letteralmente: sulla propria pelle.
Nato a partire dalla sollecitazione di una rivista, che ha dedicato un numero al tema "La venuta dello straniero" ("Dédale", n. 9-10, 1999), L’intruso di Jean-Luc Nancy racconta e riflette filosoficamente su che cosa significhi vivere nel/col cuore di un altro, vivere grazie al dono della vita/della morte di un altro. È l’autore stesso, cui è stato trapiantato più di dieci anni fa il cuore di una donna, a presentarsi come una specie di mutante che la tecnologia medica ha permesso, un sopravvissuto al suo stesso sfacelo organico. Ed è l’autore stesso, con discrezione e tatto, a ricordare le esperienze di estraneità rispetto al proprio corpo che la malattia aveva innanzitutto sollecitato (quando, per esempio, il ‘batticuore’ diventava il ‘cuore in gola’ come un cibo indigesto) o ad indagare crudamente e mestamente sull’identità paradossalmente rivendicata dal rigetto ed attutita dalla ciclosporina, che abbassa le difese immunitarie e permette di sopportare l’estraneo, assicurando la vita, ma consentendo peraltro anche l’impazzimento di numerosi cicli vitali, il trionfo di infezioni endogene, la degenerazione del cancro, con l’ulteriore seguito di cure invasive e devastanti.
Qual è il prezzo della sopravvivenza? Ne valeva davvero la pena? Sono alcune domande che si pone Nancy. Ma poi soprattutto: chi è mai questo strano io intruso a se stesso?

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